NUOVI PROGRESSI SULLA PATOGENESI ED IL TRATTAMENTO DELLA SCLERODERMIA

Francesco Boin M.D. and Fredrick M. Wigley M.D.
Johns Hopkins University, Baltimore, USA

Perchè la terapia immunosoppressiva da sola non sembra in grado di controllare completamente le manifestazioni cliniche della Sclerodermia? Questa domanda ha assillato scienziati e reumatologi esperti di sclerodermia per lungo tempo. Tuttavia recenti ricerche non solo stanno cominciando a dare delle risposte a questo problema, ma stanno anche aprendo le porte a nuove opzioni terapeutiche che vanno al di là del tradizionale uso di farmaci immunosoppressori.
La Sclerosi Sistemica è una malattia sistemica caratterizzata da fibrosi degli organi coinvolti, infiammazione e danno vascolare. Molti studi attribuiscono la causa principale del danno tissutale ad un’anormale attivazione del sistema immunitario. Esistono infatti degli autoanticorpi specifici per la sclerodermia che sono legati a precise manifestazioni cliniche. Per esempio gli anticorpi anti-topoisomerasi sono associati con la forma diffusa di sclerosi sistemica e con il coinvolgimento interstiziale polmonare; inoltre è stato dimostrato recentemente che alcuni autoanticorpi, come quelli diretti contro il fattore di crescita di derivazione piastrinica (PDGF), possono stimolare direttamente l’attivazione dei fibroblasti. Ricerche condotte avvalendosi di campioni bioptici e di sangue periferico hanno confermato che nei pazienti sclerodermici esiste un’attivazione dei linfociti (T e B) e delle cellule del sistema immunitario innato, con aumentata produzione di sostanze che favoriscono l’infiammazione e la fibrosi). Nonostante però la netta evidenza che l’origine e la progressione della patologia sclerodermica sia determinata da un processo autoimmune, l’uso di farmaci immunosoppressori (anche potenti) non ha finora consentito di controllare completamente le manifestazioni cliniche di questa malattia.

Ciò suggerisce l’esistenza di complessi meccanismi biologici, anche non immunitari, soprattutto alla base del danno fibrotico. Sono oggi necessarie nuove terapie specificamente rivolte a quei processi patologici che conducono a danni spesso irreversibili a carico di organi vitali di pazienti con sclerodermia. Sebbene la patogenesi della sclerodermia non sia del tutto compresa, c’è chiara evidenza che la fibrosi della pelle e degli altri tessuti bersaglio (e.s. polmoni, reni, cuore, articolazioni, tratto gastroenterico e vasi arteriosi) e’ preceduta da un processo infiammatorio precoce, determinato dal sistema immunitario (Figura). Il processo fibrotico tende a propagarsi nei diversi organi e tessuti ed è il principale responsabile della mortalità nei pazienti sclerodermici. L’attivazione dei fibroblasti tissutali e la loro produzione di eccessive quantità di collagene e di altre proteine della matrice extracellulare è stimolata da citochine prodotte dai leucociti e da altre cellule infiammatorie. Il transforming growth factor-β (TGF-β) è una delle citochine più importanti nell’indurre l’attivazione dei fibroblasti e la fibrosi tissutale. Studi di espressione genica su modelli animali e sull’uomo hanno indicato che altre citochine quali il connective tissue growth factor (CTGF), il platlet derived growth factor (PDGF) ed il monocytes chemoattractant protein (MCP-1) giocano un ruolo molto importante nella fibrogenesi. Nonostante queste evidenze, a tutt’oggi non esiste nessun agente terapeutico in grado di arrestare o invertire il progressivo processo di fibrosi osservato nella sclerodermia. Nella cute dei pazienti sclerodermici si riscontra un’aumentata produzione e secrezione del TGF-β ed una maggior espressione dei recettori per questa citochina sulla superficie dei fibroblasti.

Quando il TGF-β si lega ai suoi recettori, esso innesca l’attivazione di enzimi chiamati protein chinasi in grado di trasferire gruppi di fosfato dall’ATP a specifici amminoacidi di altri substrati proteici. Questa fosforilazione proteica avvia la trasduzione di segnali intracellulari critici per la crescita, la differenziazione e la morte delle cellule. La cascata di attivazione avviata dal TGF-β tradizionalmente comporta la fosforilazione di proteine chiamate SMAD, le quali inducono, agendo a livello del DNA, un’incrementata secrezione di collagene e matrice extracellulare da parte dei fibroblasti, rendendoli anche più resistenti alla morte cellulare. Nella sclerodermia è stata dimostrata un’eccessiva attivazione di queste proteine SMAD.
Nuove ricerche si inseriscono tuttavia in questo campo, dimostrando nei fibroblasti l’attivazione, da parte del TGF-β, di circuiti intracellulari non-SMAD dipendenti ed in particolare l’attivazione di una tirosin chinasi chiamata c-Abl. Ricercatori sia europei che americani hanno evidenziato come c-Abl venga attivata sia dal TGF-β che dal PDGF nei fibroblasti di pazienti sclerodermici (ed in modelli animali). Questi risultati sono assai rilevanti in quanto suggeriscono che ci sia la possibilità di intervenire farmacologicamente sul processo fibrotico interferendo con i meccanismi biologici responsabili. L’Imatinib mesilato (Gleevec, Glivec, STI571) è il primo inibitore delle tirosin chinasi (quali c-Abl, c-Kit e quelle associate al PDGF) presente in commercio. L’imatinib è utilizzato principalmente nel trattamento della leucemia mieloide cronica (LMC) positiva per il cromosoma Philadelphia ed agisce impedendo il funzionamento tirosin chinasico dell’oncogene di fusione BCR-ABL.

Vista l’efficacia dell’imatinib nella LMC, sono stati avviati studi preclinici per il suo utilizzo in altri tumori solidi quali i tumori stromali del tratto gastroenterico ed in altre malattie dipendenti dall’ attivazione di PDGF, c-Abl o c-Kit, come la sindrome ipereosinofila o la mastocitosi sistemica. Sorprendenti studi condotti recentemente hanno indicato che l’imatinib mesilato è in grado di bloccare la fibrosi tissutale attraverso l’inibizione della chinasi c-Abl (meccanismo non-TGF-β/SMAD dipendente). Inoltre il blocco funzionale di c-Abl da parte di imatinib previene l’espressione di geni per la matrice extracellulare ed abolisce, nelle cellule trattate, i cambiamenti morfologici o proliferativi normalmente indotti da TGF-β. Questi risultati sono assai rilevanti per due motivi: il primo è che identificano la chinasi c-Abl come un mediatore molecolare della risposta intracellulare indotta da TGF-β; il secondo è che suggeriscono il potenziale ruolo dell’inattivazione di c-Abl nel trattamento delle patologie fibrosanti. Infatti nuovi dati che provengono da ricerche sull’effetto antifibrotico dell’inibizione della chinasi c-Abl sembrano alquanto incoraggianti. In modelli di topo, imatinib mesilato era in grado di prevenire la fibrosi polmonare indotta dalla bleomicina o da radiazioni; nei ratti, migliorava la fibrosi renale ed epatica sperimentalmente indotta. In pazienti con LMC o sindrome ipereosinofila, invece, imatinib ha dimostrato un effetto nel ridurre la fibrosi al midollo osseo. Recentemente il gruppo di Distler et al. ha presentato un abstract in cui veniva descritta la capacità di imatinib di prevenire la fibrosi cutanea indotta da bleomicina in un modello animale di sclerodermia.

Infine, in un altro modello murino, l’imatinib era in grado di ridurre sia clinicamente che istologicamente il manifestarsi dell’ipertensione polmonare, che rappresenta una complicazione molto seria in pazienti con sclerodermia. L’approccio terapeutico alla sclerodermia si e’ basato finora sull’ uso di agenti immunomodulanti (p.e. corticosteroidi, metotrexate, mofetil micofenolato o ciclofosfamide). Tuttavia tali sostanze farmacologiche non sono specificamente efficaci nel controllare i meccanismi che inducono fibrosi e lasciano spesso i medici ed i pazienti insoddisfatti per gli scarsi risultati sulla progressione della fibrosi tissutale. Tuttavia studi su diversi modelli animali hanno confermato che quest’ultima può regredire. Risulta quindi interessante la possibilita’ di usare, da soli o in combinazione con l’immunosoppressione, agenti che inibiscano direttamente la fibrogenesi negli organi coinvolti dalla sclerodermia (es. fibrosi polmonare). I nuovi risultati sperimentali qui discussi, lasciano spazio all’ ipotesi che l’imatinib mesilato possa efficacemente essere utilizzato nei pazienti sclerodermici per prevenire o bloccare la progressione della fibrosi. Va ricordato tuttavia che, se da una parte queste ricerche sono molto promettenti, non esistono ancora sperimentazioni scientificamente controllate su pazienti. Sarà molto importante condurre questi studi (che inizieranno entro breve tempo) con rigorosità, non solo per cogliere i benefici, ma anche per evidenziare i potenziali effetti tossici di questo nuovo farmaco.