Capitolo II

STRUTTURA, ELEMENTI E PARTI DELLA MESSA

 

I. Struttura generale della Messa

7. Nella Messa o Cena del Signore, il popolo di Dio è chiamato a riunirsi insieme sotto la presidenza del sacerdote, che agisce nella persona di Cristo, per celebrare il memoriale del Signore, cioè il sacrificio eucaristico.
Per questa riunione locale della santa Chiesa vale perciò in modo eminente la promessa di Cristo: "Là dove sono due o tre radunati nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18,20).
Infatti nella celebrazione della Messa, nella quale si perpetua il sacrificio della Croce, Cristo è realmente presente nell’assemblea dei fedeli riunita in suo nome, nella persona del ministro, nella sua parola e in modo sostanziale e permanente sotto le specie eucaristiche.

8. La Messa è costituita da due parti, la "Liturgia della Parola" e la "Liturgia eucaristica"; esse son così strettamente congiunte tra di loro da formare un unico atto di culto. Nella Messa, infatti, viene imbandita tanto la mensa della parola di Dio quanto la mensa del Corpo di Cristo, e i fedeli ne ricevono istruzione e ristoro. Ci sono inoltre alcuni riti che iniziano e altri che concludono la celebrazione.

 

II. I diversi elementi della Messa

Lettura della parola di Dio e sua spiegazione
9. Quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura, Dio stesso parla al suo popolo e Cristo, presente nella sua parola, annunzia il Vangelo.
Per questo, le letture della parola di Dio, che costituiscono un elemento importantissimo della Liturgia, si devono ascoltare da tutti con venerazione. E benché la parola di Dio nelle letture della sacra Scrittura sia rivolta a tutti gli uomini di ogni epoca e sia da essi intelligibile, tuttavia la sua efficacia viene accresciuta da un’esposizione viva e attuale, cioè dall’omelia, che è considerata parte dell’azione liturgica.

Le orazioni e le altre parti che spettano al sacerdote
10. Tra le parti proprie del sacerdote, occupa il primo posto la Preghiera eucaristica, culmine di tutta la celebrazione. Seguono poi le orazioni, cioè: l’orazione di inizio (o colletta), l’orazione sulle offerte e l’orazione dopo la comunione. Queste preghiere dette dal sacerdote nella sua qualità di presidente dell’assemblea nella persona di Cristo, sono rivolte a Dio a nome dell’intero popolo santo e di tutti i presenti. Perciò giustamente si chiamano "orazioni presidenziali".

11. Spetta ugualmente al sacerdote, per il suo ufficio di presidente dell’assemblea radunata, formulare alcune monizioni e proporre le formule di introduzione e di conclusione previste nel rito medesimo. Di loro natura queste monizioni non esigono di essere pronunziate alla lettera, nella formulazione presentata nel Messale; per cui potrà essere opportuno l’adattarle in qualche modo, almeno in alcuni casi, alle vere condizioni della comunità. Così pure spetta al sacerdote che presiede annunziare la parola di Dio e impartire la benedizione finale. Egli può inoltre intervenire con brevissime parole, all’inizio della celebrazione, per introdurre i fedeli alla Messa del giorno; alla Liturgia della Parola, prima delle letture; alla Preghiera eucaristica, prima di iniziare il prefazio; prima del congedo, per concludere l’intera azione sacra.

12. La natura delle parti "presidenziali" esige che esse siano proferite a voce alta e chiara e che siano ascoltate da tutti con attenzione. Perciò mentre il sacerdote le dice, non si devono sovrapporre altre orazioni o canti, e l’organo e altri strumenti musicali devono tacere.

13. Il sacerdote formula preghiere non soltanto come presidente a nome di tutta la comunità, ma talvolta anche a titolo personale, per poter compiere il proprio ministero con maggior attenzione e pietà. Tali preghiere si dicono sottovoce.

Altre formule che ricorrono nella celebrazione
14. Poiché la celebrazione della Messa, per sua natura, ha carattere "comunitario", grande rilievo assumono i dialoghi tra il celebrante e l’assemblea dei fedeli, e le acclamazioni. Infatti questi elementi non sono soltanto segni esteriori della celebrazione comunitaria, ma favoriscono ed effettuano la comunione tra il sacerdote e il popolo.

15. Le acclamazioni e le risposte dei fedeli al saluto del sacerdote e alle orazioni, costituiscono quel grado di partecipazione attiva che i fedeli riuniti devono porre in atto in ogni forma di Messa per esprimere e ravvivare l’azione di tutta la comunità.

16. Altre parti, assai utili per manifestare e favorire la partecipazione attiva dei fedeli, spettano all’intera assemblea: sono soprattutto l’atto penitenziale, la professione di fede, la preghiera universale (detta anche preghiera dei fedeli) e la preghiera del Signore (cioè il Padre nostro).

17. Infine, tra le altre formule:
a) alcune costituiscono un rito o un atto a sé stante, come l’inno Gloria, il salmo responsoriale, l’Alleluia e il versetto prima del Vangelo (canto al Vangelo), il Santo (Sanctus), l’acclamazione dell’anamnesi e il canto dopo la comunione;
b) altre, invece, accompagnano qualche rito, come i canti d’ingresso, di offertorio, quelli che accompagnano la "frazione" o atto di spezzare il pane (Agnello di Dio - Agnus Dei) e la comunione.

In qual modo proclamare i vari testi
18. Nei testi che devono esser pronunziati a voce alta e chiara dal sacerdote, dai ministri, o da tutti, la voce deve corrispondere al genere del testo secondo che si tratti di una lettura, di un orazione, di una monizione, di un’acclamazione, di un canto; deve anche corrispondere alla forma di celebrazione e alla solennità della riunione liturgica. Inoltre si tenga conto delle caratteristiche delle diverse lingue e della cultura specifica di ogni popolo.
Nelle rubriche e nelle norme che seguono, le parole "dire" oppure "proclamare" devono essere intese in riferimento sia al canto che alla recita, tenuto conto dei principi sopra esposti.

Importanza del canto
19. I fedeli che si radunano nell’attesa della venuta del loro Signore, sono esortati dall’Apostolo a cantare insieme salmi, inni e cantici spirituali (cf Col 3, 16). Infatti il canto è segno della gioia del cuore (cf At 2,46). Perciò dice molto bene sant'Agostino: "Il cantare è proprio di chi ama", e già dall’antichità si formò il detto: "Chi canta bene, prega due volte".
Nelle celebrazioni si dia quindi grande importanza al canto, tenuto conto della diversità culturale delle popolazioni e della capacità di ciascun gruppo anche se non è sempre necessario cantare tutti i testi che per loro natura sono destinati al canto. Nella scelta delle parti destinate al canto, si dia la preferenza a quelle di maggior importanza, e soprattutto a quelle che devono essere cantate dal sacerdote o dai ministri con la risposta del popolo, o dal sacerdote e dal popolo insieme. Poiché sono sempre più frequenti le riunioni di fedeli di diverse nazionalità, è opportuno che sappiano cantare insieme, in lingua latina, e nelle melodie più facili, almeno le parti dell’Ordinario della Messa, specialmente il simbolo della fede e la preghiera del Signore (Pater noster).

Gesti e atteggiamenti del corpo
20. L’atteggiamento comune del corpo, che tutti i partecipanti al rito sono invitati a prendere, è il segno della comunità e dell’unità dell’assemblea: esso esprime e favorisce l’intenzione e i sentimenti dell’animo dei partecipanti.

21. Per ottenere l’uniformità nei gesti e negli atteggiamenti, i fedeli seguano le indicazioni che vengono date dal diacono, o dal sacerdote, o da un altro ministro, durante la celebrazione. Inoltre, in tutte le Messe, salvo indicazioni in contrario, i fedeli stiano in piedi dall’inizio del canto di ingresso, o mentre il sacerdote si reca all’altare, fino alla conclusione dell’orazione di inizio (o colletta), durante il canto dell’Alleluia prima del Vangelo; durante la proclamazione del Vangelo; durante la professione di fede e la preghiera universale (o preghiera dei fedeli); dall’orazione sulle offerte fino al termine della Messa, fatta eccezione di quanto è detto in seguito. Stanno invece seduti durante la proclamazione delle letture prima del Vangelo e durante il salmo responsoriale; all’omelia e durante la preparazione dei doni all’offertorio; se lo si ritiene opportuno, durante il sacro silenzio dopo la comunione. S’inginocchiano poi alla consacrazione, a meno che lo impediscano o la ristrettezza del luogo, o il gran numero dei presenti, o altri motivi ragionevoli.
Spetta però alle Conferenze Episcopali adattare i gesti e gli atteggiamenti del corpo, descritti nel Rito della Messa romana, alla cultura dei vari popoli. Nondimeno si faccia in modo che tali adattamenti corrispondano al senso e al carattere di ciascuna parte della celebrazione.

22. Fra i gesti sono comprese anche le azioni e gli atteggiamenti del sacerdote nel recarsi all’altare, quelle per la presentazione dei doni e per la comunione dei fedeli. Conviene che queste azioni siano fatte in modo decoroso, mentre si eseguono canti appropriati, secondo le norme stabilite per i singoli movimenti.

Il silenzio
23. Si deve anche osservare, a suo tempo, il sacro silenzio, come parte della celebrazione. La sua natura dipende dal momento in cui ha luogo nelle singole celebrazioni. Così, durante l'atto penitenziale e dopo l’invito alla preghiera, il silenzio aiuta il raccoglimento; dopo la lettura o l’omelia, è un richiamo a meditare brevemente ciò che si è ascoltato; dopo la comunione, favorisce la preghiera interiore di lode e di ringraziamento.

 

III. Le singole parti della Messa

A) RITI DI INTRODUZIONE

24. Le parti che precedono la Liturgia della Parola, cioè l’introito, il saluto, l’atto penitenziale, il Kyrie eleison, il Gloria e l’orazione (o colletta), hanno un carattere di inizio, di introduzione e di preparazione.
Scopo di questi riti è che i fedeli, riuniti insieme, formino una comunità, e si dispongano ad ascoltare con fede la parola di Dio ed a celebrare degnamente l’Eucaristia.

L’introito
25. Quando il popolo è riunito, mentre il sacerdote fa il suo ingresso con i ministri, si inizia il canto d’ingresso. La funzione propria di questo canto è quella di dare inizio alla celebrazione, favorire l’unione dei fedeli riuniti, introdurre il loro spirito nel mistero del tempo liturgico o della festività, e accompagnare la processione del sacerdote e dei ministri.
26. Il canto viene eseguito alternativamente dalla schola e dal popolo, o dal cantore e dal popolo, oppure tutto quanto dal popolo o dalla sola schola. Si può utilizzare sia l’antifona con il suo canto, quale si trova nel Graduale romanum o nel Graduale simplex, oppure un altro canto adatto all’azione sacra, al carattere del giorno o del tempo, e il cui testo sia stato approvato dalla Conferenza Episcopale.
Se all’introito non ha luogo il canto, l’antifona proposta dal Messale Romano viene letta o dai fedeli, o da alcuni di essi, o dal lettore, o anche dallo stesso sacerdote dopo il saluto.

Saluto all’altare e al popolo radunato
27. Giunti in presbiterio, il sacerdote e i ministri salutano l’altare. In segno di venerazione, il sacerdote e il diacono lo baciano e il sacerdote lo può incensare secondo l’opportunità.

28. Terminato il canto d’ingresso, il sacerdote e tutta l’assemblea si segnano col segno di croce. Poi il sacerdote con il saluto annunzia alla comunità riunita la presenza del Signore. Il saluto sacerdotale e la risposta del popolo manifestano il mistero della Chiesa radunata.

Atto penitenziale
29. Salutato il popolo, il sacerdote, o un altro ministro che ne sia capace, può fare una brevissima introduzione alla Messa del giorno. Quindi il sacerdote invita all’atto penitenziale, che viene compiuto da tutta la comunità mediante la confessione generale, e si conclude con l’assoluzione del sacerdote.

Kyrie eleison
50. Dopo l’atto penitenziale ha inizio il Kyrie eleison, a meno che non sia già stato detto durante l’atto penitenziale. Essendo un canto col quale i fedeli acclamano il Signore e implorano la sua misericordia, di solito viene eseguito da tutti, in alternanza tra il popolo e la schola o un cantore.
Ogni acclamazione di solito si dice due volte; ma non si esclude che, in considerazione dell’indole delle diverse lingue o della composizione musicale o di circostanze particolari, sia ripetuto un maggior numero di volte, o intercalato da un breve "tropo". Se il Kyrie eleison non viene cantato, si recita.

Gloria in excelsis
31. Il Gloria è un inno antichissimo e venerabile con il quale la Chiesa, radunata nello Spirito Santo, glorifica e supplica Dio Padre e l’Agnello. Viene cantato da tutta l’assemblea, o dal popolo alternativamente con la schola oppure dalla schola. Se non lo si canta, viene recitato da tutti, insieme o alternativamente.
Lo si canta o si recita nelle domeniche fuori del Tempo di Avvento e Quaresima; e inoltre nelle solennità e feste, e in particolari celebrazioni più solenni.

Orazione conclusiva dei riti di introduzione (o colletta)
32. Poi il sacerdote invita il popolo a pregare; e tutti insieme con il sacerdote stanno per qualche momento in silenzio, per prendere coscienza di essere alla presenza di Dio e per poter formulare nel proprio cuore la preghiera personale. Quindi il sacerdote dice l’orazione, chiamata comunemente "colletta". Per mezzo di essa viene espresso il carattere della celebrazione e con le parole del sacerdote si rivolge la preghiera a Dio Padre, per mezzo di Cristo, nello Spirito Santo.
Il popolo, unendosi alla preghiera ed esprimendo il suo assenso, fa sua l’orazione con l’acclamazione Amen.
Nella Messa si dice una sola colletta; la stessa cosa vale anche per l’orazione sulle offerte e dopo la comunione.
La colletta termina con la conclusione lunga, e cioè:
— se è rivolta al Padre: Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli;
— se è rivolta al Padre, ma verso la fine dell’orazione medesima si fa menzione del Figlio: Egli è Dio (opp. che è Dio) e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli;
— se è rivolta al Figlio: Tu che sei Dio e vivi e regni con Dio Padre, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
Invece l’orazione sulle offerte e l’orazione dopo la Comunione hanno la conclusione breve, e cioè:
— se e rivolta al Padre: Per Cristo nostro Signore;
— se e rivolta al Padre, ma verso la fine dell’orazione medesima si fa menzione del Figlio: Egli vive e regna nei secoli dei secoli;
— se e rivolta al Figlio: Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.

 

B) LITURGIA DELLA PAROLA

33. Le letture scelte dalla sacra Scrittura con i canti che le accompagnano, costituiscono la parte principale della Liturgia della Parola; l’omelia, la professione di fede e la preghiera universale o preghiera dei fedeli sviluppano e concludono tale parte. Infatti nelle letture, che vengono poi spiegate nella omelia, Dio parla al suo popolo, gli manifesta il mistero della redenzione e della salvezza e offre un nutrimento spirituale; Cristo stesso è presente per mezzo della sua parola, tra i fedeli. Il popolo fa propria questa parola divina con i canti e vi aderisce con la professione di fede; così nutrito, prega nell’orazione universale per le necessità di tutta la Chiesa e per la salvezza del mondo intero.

Le letture bibliche
34. Con le letture si offre ai fedeli la mensa della parola di Dio e si aprono loro i tesori della Bibbia. Poiché secondo la tradizione l’ufficio di proclamare le letture non spetta al presidente ma ad uno dei ministri, conviene che, d’ordinario, il diacono, o, in sua assenza, un altro sacerdote legga il Vangelo; un lettore invece legga le altre letture. Mancando però il diacono o un altro sacerdote, leggerà il Vangelo lo stesso sacerdote celebrante.

35. Alla lettura del Vangelo si deve il massimo rispetto; lo insegna la liturgia stessa, perché la distingue dalle altre letture con particolari onori: sia da parte del ministro incaricato di proclamarla che si prepara con la benedizione o con la preghiera; sia da parte dei fedeli, i quali con le acclamazioni riconoscono e professano che Cristo è presente e parla a loro, e ascoltano la lettura stando in piedi; sia per mezzo dei segni di venerazione che si rendono al libro dei Vangeli.

I canti tra le letture
36. Alla prima lettura segue il salmo responsoriale, o graduale, che è parte integrante della Liturgia della Parola. Il salmo, d’ordinario, è preso dal Lezionario, perché ogni testo salmodico è direttamente connesso con la relativa lettura: pertanto la scelta del salmo dipende dalle letture. Nondimeno, perché il popolo più facilmente possa ripetere il ritornello, sono stati scelti alcuni testi comuni di ritornelli e di salmi per diversi tempi dell’anno e per le diverse categorie di santi; questi testi si possono utilizzare al posto di quelli corrispondenti alle letture ogni volta che il salmo viene cantato.

11 salmista o cantore del salmo, canta o recita i versetti del salmo all’ambone o in altro luogo adatto; l’assemblea sta seduta e ascolta, e partecipa di solito con il ritornello, a meno che il salmo non sia cantato o recitato per intero senza ritornello. Se si canta, oltre al salmo designato sul Lezionario, si può utilizzare o il graduale del Graduale romanum, oppure un salmo responsoriale o alleluiatico del Graduale simplex, così come sono indicati in tali libri.

37. Alla seconda lettura segue l’Alleluia o un altro canto, a seconda del tempo liturgico.
a) L’Alleluia si canta in qualsiasi Tempo, tranne che in Quaresima. Può essere iniziato o da tutti, o dalla schola, o da un cantore e, se è il caso, lo si ripete. I versetti si scelgono dal Lezionario oppure dal Graduale.
b) L’altro canto è costituito da un versetto prima del Vangelo, oppure da un altro salmo o tratto, come si trovano nel Lezionario o nel Graduale.

38. Quando vi è una sola lettura prima del Vangelo:
a) nel Tempo in cui si canta l’Alleluia, si può utilizzare o il salmo alleluiatico, oppure il salmo e l’Alleluia con il suo versetto, o solo il salmo o solo l’Alleluia;
b), nel tempo in cui l’Alleluia non si canta, si può eseguire O il salmo o il versetto prima del Vangelo (cioè il canto al Vangelo).

39. Il salmo dopo la lettura, se non viene cantato, deve essere letto ad alta voce; invece l’Alleluia e il versetto prima del Vangelo, se non si cantano, si possono tralasciare.

40. La sequenza è facoltativa, eccetto nei giorni di Pasqua e di Pentecoste.

L’omelia
41. L’omelia fa parte della liturgia ed è molto raccomandata: è infatti necessaria per alimentare la vita cristiana. Deve essere la spiegazione o di qualche aspetto delle letture della Sacra Scrittura, o di un altro testo dell’Ordinario o del Proprio della Messa del giorno, tenuto conto sia del mistero che viene celebrato, sia delle particolari necessità di chi ascolta.

42. Nelle domeniche e nelle feste di precetto si deve tenere l’omelia in tutte le Messe con partecipazione di popolo; non si può omettere senza una ragione grave. Negli altri giorni è raccomandata specialmente nelle ferie di Avvento, di Quaresima e del Tempo pasquale; così pure nelle altre feste e circostanze nelle quali è più numeroso il concorso del popolo alla chiesa.
L’omelia di solito sia tenuta personalmente dal sacerdote celebrante.

La professione di fede
43. Il Simbolo, o professione di fede, nella celebrazione della Messa, ha lo scopo di suscitare nell’assemblea, dopo l’ascolto della parola di Dio nelle letture e nell’omelia, una risposta di assenso, e di richiamare alla mente la regola della fede, prima di incominciare la celebrazione dell’Eucaristia.

44. Il Simbolo deve esser recitato dal sacerdote insieme con il popolo nelle domeniche e nelle solennità; si può dire anche in particolari celebrazioni più solenni.
Se viene cantato, si canti normalmente da tutti o a cori alterni.

La preghiera universale
45. Nella preghiera universale, o preghiera dei fedeli, il popolo, esercitando la sua funzione sacerdotale, prega per tutti gli uomini. E' conveniente che nelle Messe con partecipazione di popolo vi sia normalmente questa preghiera, nella quale si elevino suppliche per la santa Chiesa, per i governanti, per coloro che si trovano in necessità, per tutti gli uomini e per la salvezza di tutto il mondo.

46. La successione delle intenzioni sia ordinariamente questa:
a) per le necessità della Chiesa;
b) per i governanti e per la salvezza di tutto il mondo;
c) per quelli che si trovano in difficoltà;
d) per la comunità locale.
Tuttavia in qualche celebrazione particolare, per esempio nella Confermazione, nel Matrimonio, nelle Esequie, la successione delle intenzioni può venire adattata maggiormente alla circostanza particolare.

47. Spetta al sacerdote celebrante guidare la preghiera, invitare, con una breve monizione, i fedeli a pregare, e concludere la preghiera con un’orazione. Sarà bene che le intenzioni siano proposte da un diacono o da un cantore, o da qualche altra persona. Tutta l’assemblea esprime la sua preghiera o con un’invocazione comune, dopo che sono state presentate le intenzioni, oppure pregando in silenzio.

 

C) LITURGIA EUCARISTICA

48. Nell’ultima Cena Cristo istituì il sacrificio e convito pasquale per mezzo del quale è reso di continuo presente nella Chiesa il sacrificio della Croce, allorché il sacerdote che rappresenta Cristo Signore, compie ciò che il Signore stesso fece e affidò ai discepoli perché lo facessero in memoria di lui.
Cristo infatti prese il pane e il calice, rese grazie, spezzò il pane e li diede ai suoi discepoli, dicendo: "Prendete, mangiate, bevete; questo è il mio Corpo; questo è il calice del mio Sangue. Fate questo in memoria di me". Perciò la Chiesa ha disposto tutta la celebrazione della Liturgia eucaristica in vari momenti, che corrispondono a queste parole e gesti di Cristo. Infatti:
1. Nella preparazione dei doni, vengono portati all’altare pane e vino con acqua, cioè gli stessi elementi che Cristo prese tra le sue mani.
2. Nella Preghiera eucaristica si rendono grazie a Dio per tutta l’opera della salvezza, e le offerte diventano il Corpo e il Sangue di Cristo.
3. Mediante la frazione di un unico pane si manifesta l’unità dei fedeli, e per mezzo della comunione i fedeli si cibano del Corpo e del Sangue del Signore, allo stesso modo con il quale gli Apostoli li hanno ricevuti dalle mani di Cristo stesso.

La preparazione dei doni
49. All’inizio della Liturgia eucaristica si portano all’altare i doni, che diventeranno il Corpo e il Sangue di Cristo.
Prima di tutto si prepara l’altare, o mensa del Signore, che è il centro di tutta la Liturgia eucaristica, ponendovi sopra il corporale, il purificatoio, il messale e il calice, se non viene preparato alla credenza.
Poi si portano le offerte: i fedeli — cosa lodevole — presentano il pane e il vino; il sacerdote, o il diacono, in luogo opportuno e adatto, li riceve e li depone sull’altare, recitando le formule prescritte. Quantunque i fedeli non portino più, come un tempo, il loro proprio pane e vino destinati alla liturgia, tuttavia il rito di presentare questi doni conserva il suo valore e il suo significato spirituale.
Si possono anche fare offerte in denaro, o presentare altri doni per i poveri o per la Chiesa, portati dai fedeli o raccolti in chiesa. Essi vengono deposti in luogo adatto, fuori della mensa eucaristica.

50. Il canto all’offertorio accompagna la processione con la quale si portano i doni; esso si protrae almeno fino a quando i doni sono stati deposti sull’altare. Le norme che regolano questo canto sono le stesse che per il canto d’ingresso (n. 26). L’antifona di offertorio, se non si canta, viene tralasciata.

51. Si può fare l’incensazione dei doni posti sull’altare stesso, per significare che l’offerta della Chiesa e la sua preghiera si innalzano come incenso al cospetto di Dio. Dopo l’incensazione dei doni e dell’altare, anche il sacerdote e il popolo possono ricevere l’incensazione dal diacono o da un altro ministro.

52. Quindi il sacerdote si lava le mani; con questo rito si esprime il desiderio di purificazione interiore.

53. Deposte le offerte sull’altare e compiuti i riti che accompagnano questo gesto, il sacerdote invita i fedeli a unirsi a lui nella preghiera e pronunzia l’orazione sulle offerte: si conclude così la preparazione dei doni e si prelude alla Preghiera eucaristica.

La Preghiera eucaristica
54. A questo punto ha inizio il momento centrale e culminante dell’intera celebrazione, vale a dire la Preghiera eucaristica, cioè la preghiera di azione di grazie e di santificazione. Il sacerdote invita il popolo a innalzare il cuore verso il Signore nella preghiera e nell’azione di grazie, e lo associa a sé nella solenne preghiera, che egli, a nome di tutta la comunità, rivolge al Padre per mezzo di Gesù Cristo. Il significato di questa preghiera è che tutta l’assemblea si unisca insieme con Cristo nel magnificare le grandi opere di Dio e nell’offrire il sacrificio.

55. Gli elementi principali di cui consta la Preghiera eucaristiCa, si possono distinguere come segue:
a) L’azione di grazie (che si esprime specialmente nel prefazio): il sacerdote, a nome di tutto il popolo santo, glorifica Dio Padre e gli rende grazie per tutta l’opera della salvezza o per qualche suo aspetto particolare, a seconda della diversità del giorno, della festa o del Tempo.
b) L’acclamazione: tutta l’assemblea, unendosi alle creature celesti, canta o recita il Santo (Sanctus). Questa acclamazione, che fa parte della Preghiera eucaristica, è pronunziata da tutto il popolo col sacerdote.
c) L’epiclesi: la Chiesa implora con speciali invocazioni la potenza divina, perché i doni offerti dagli uomini vengano consacrati, cioè diventino il Corpo e il Sangue di Cristo, e perché lavittima immacolata, che si riceve nella comunione, giovi per la salvezza di coloro che vi parteciperanno.
d) Il racconto dell’istituzione e la consacrazione: mediante le parole e i gesti di Cristo, si compie il sacrificio che Cristo stesso istitui nell’ultima Cena, quando offri il suo Corpo e il suo Sangue sotto le specie del pane e del vino, lo diede a mangiare e a bere agli Apostoli e lasciò loro il mandato di perpetuare questo mistero.
e) L’anamnesi: la Chiesa, adempiendo il comando ricevuto da Cristo Signore per mezzo degli Apostoli, celebra la memoria di Cristo, ricordando soprattutto la sua beata passione, la brio-sa risurrezione e l’ascensione al cielo.
f) L’offerta: nel corso di questa stessa memoria la Chiesa, in modo particolare quella radunata in quel momento e in quel luogo, offre al Padre nello Spirito Santo la vittima immacolata. La Chiesa desidera che i fedeli non solo offrano la vittima immacolata, ma anche imparino ad offrire se stessi e così portino ogni giorno più a compimento, per mezzo di Cristo Mediatore, la loro unione con Dio e con i fratelli, perché finalmente Dio sia tutto in tutti.
g) Le intercessioni: in esse si esprime che l’Eucaristia viene celebrata in comunione con tutta la Chiesa, sia celeste che terrestre, e che l’offerta è fatta per essa e per tutti i suoi membri, vivi e defunti, i quali sono stati chiamati a partecipare alla redenzione e alla salvezza acquistata per mezzo del Corpo e del Sangue di Cristo.
h) La dossologia finale che esprime la glorificazione di Dio: essa viene ratificata e conclusa con l’acclamazione del popolo. La Preghiera eucaristica esige che tutti l’ascoltino con rispetto e in silenzio, e vi partecipino con le acclamazioni previste nel rito.

Riti di comunione
56. Poiché la celebrazione eucaristica è un convito pasquale, conviene che, secondo il comando del Signore, i fedeli ben disposti ricevano il suo Corpo e il suo Sangue come cibo spirituale.
A questo mirano la frazione del pane e gli altri riti preparatori che dispongono immediatamente i fedeli alla comunione.
a) La preghiera del Signore (o Padre nostro): in essa si chiede il pane quotidiano, nel quale i cristiani scorgono anche un riferimento al pane eucaristico, e si implora la purificazione dei peccati, così che realmente "i santi doni vengano dati ai santi’. Il sacerdote rivolge l’invito alla preghiera, che tutti i fedeli dicono insieme con lui; ma soltanto il sacerdote vi aggiunge l’embolismo, che il popolo conclude con la dossologia. L’embolismo, sviluppando l’ultima domanda della preghiera del Signore, chiede per tutta la comunità dei fedeli la liberazione dal potere del male.
L’invito (o monizione), la preghiera del Signore, l’embolismo e la dossologia, con la quale il popolo conclude l’embolismo, sì cantano o si dicono ad alta voce.
b) Segue il rito della pace, con il quale i fedeli implorano la pace e l’unità per la Chiesa e per l’intera famiglia umana, ed esprimono fra di loro l’amore vicendevole, prima di partecipare all’unico pane.
Le Conferenze Episcopali stabiliranno il modo di compiere questo gesto di pace secondo l’indole e le usanze delle popolazioni.
c) Il gesto della frazione del pane, compiuto da Cristo nell’ultima Cena, sin dal tempo apostolico ha dato il nome a tutta l’azione eucaristica. Questo rito non ha soltanto una ragione pratica, ma significa che noi, pur essendo molti, diventiamo un solo corpo nella comunione a un solo pane di vita, che è Cristo (1 Cor 10,17).
d) L’ immixtio: il celebrante mette nel calice una piccola porzione dell’ostia.
e) Agnello di Dio (Agnus Dei): mentre si compie la frazione del pane e l’immixtio, si canta dalla schola o dal cantore l'invocazione Agnello di Dio (Agnus Dei), alla quale risponde il popolo; oppure la si dice ad alta voce. Si può ripetere questa invocazione quante volte è necessario per accompagnare la frazione del pane. L’ultima invocazione termina con le parole dosia a noi la pace (dona nobis pacem).
f) La preparazione personale del sacerdote: il celebrante si prepara con una preghiera silenziosa a ricevere con frutto il Corpo e il Sangue di Cristo. Lo stesso fanno i fedeli pregando in silenzio.
g) Quindi il celebrante mostra ai fedeli il pane eucaristico che sarà ricevuto nella comunione e li invita al banchetto di Cristo; poi insieme con essi esprime sentimenti di umiltà, servendosi delle parole del Vangelo.
h) Si desidera vivamente che i fedeli ricevano il Corpo del Signore con ostie consacrate nella stessa Messa, e nei casi previsti, facciano la comunione al calice, perché anche per mezzo dei segni, la comunione appaia meglio come partecipazione al sacrificio in atto.
i) Mentre il sacerdote e i fedeli si comunicano, si esegue il canto di comunione; esso ha lo scopo di esprimere mediante l’accordo delle voci l’unione spirituale di coloro che si comunicano, dimostrare la gioia del cuore e rendere più fraterna la processione di coloro che si accostano a ricevere il Corpo di Cristo. Il canto comincia mentre il sacerdote si comunica, e si protrae per un certo tempo, durante la comunione dei fedeli. Se però è previsto che dopo la comunione si eseguisca un inno, il canto di comunione s’interrompa al momento opportuno.
Come canto di comunione si può utilizzare o l’antifona del Graduale romanum, con o senza salmo, o l’antifona col salmo del Graduale simplex, oppure un altro canto adatto, approvato dalla Conferenza Episcopale. Può essere cantato o dalla sola schola, o dalla schola o dal cantore insieme col popolo.
Se invece non si canta, l’antifona di comunione proposta dal Messale viene recitata o dai fedeli, o da alcuni di essi, o dal lettore, se no dallo stesso sacerdote dopo che questi si è comunicato, prima di distribuire la comunione ai fedeli.
j) Ultimata la distribuzione della comunione il sacerdote e i fedeli, secondo l’opportunità, pregano per un po’ di tempo in silenzio. Si può anche far cantare da tutta l’assemblea un inno, un salmo o un altro canto di lode.
k) Nell’orazione dopo la comunione, il sacerdote chiede i frutti del mistero celebrato. Il popolo fa sua l’orazione con l’acclamazione Amen.

 

D) RITI DI CONCLUSIONE

57. I riti di conclusione comprendono:
a) Il saluto e la benedizione del sacerdote, che in alcuni giorni e in certe circostanze si può arricchire e sviluppare con l’"orazione sul popolo" o con un’altra formula più solenne.
b) Il congedo propriamente detto, con il quale si scioglie l’assemblea, perché ognuno ritorni alle sue occupazioni lodando e benedicendo il Signore.