Venerdì Santo nella passione del Signore
Il venerdì santo la Chiesa non celebra l'Eucaristia, ma una liturgia dei presantificati, ossia di lode vespertina conclusa dalla comunione eucaristica con le Sacre Specie consacrate il giorno precedente.
Anche se per il presidente il messale prevede i paramenti di colore rosso come per la messa (stola e casula), non c'è concelebrazione, e quindi non ha senso che tutti i sacerdoti indossino i paramenti. L'abito proprio degli ecclesiastici che non devono svolgere servizi liturgici sarà quello corale (talare o abito religioso e cotta); indosseranno la stola rossa solo per accostarsi alla comunione. Una dignitosa sobrietà è la nota distintiva di una celebrazione di lode in cui la Chiesa, nata dal costato trafitto e vivificata dallo Spirito del Risorto, rivive in fede e speranza il sacrificio supremo del suo Signore.
L'ora indicativa per la celebrazione sono le 15, l'ora nona in cui, secondo la testimonianza evangelica, il Signore Gesù, "reclinato il capo, emise lo spirito". Esigenze pastorali (il venerdì santo è per molti - purtroppo - giorno lavorativo) giustificano però il differimento dell' orario.
Tutto il presbiterio sarà spoglio (si tolgano tappeti, lampade, piante) e l'altare senza tovaglia ne' candele. Eventuali croci fisse e inamovibili siano velate. Oltre ai paramenti di cui si è detto, si prepareranno una bella croce (velata se si prevede la prima forma di ostensione, v. sotto), due candelieri, messale, lezionario ed evangeliario della passione (tre copie su tre leggii se si prevede la lettura dialogata), tovaglia, corporale, acqua e purificatoio per la
purificazione delle pissidi vuote da compiersi dopo la celebrazione, velo omerale e altri due candelieri per il trasposto del Santissimo Sacramento. Il vescovo non porta l'anello e non usa il pastorale, ma indossa soltanto la mitra bianca semplice.
La celebrazione si compone di quattro momenti: dopo l'ingresso con la prostrazione e l'orazione inizia subito la liturgia della Parola, segue la preghiera universale, si prosegue con l'ostensione e l'adorazione della croce, si conclude con la comunione.
In silenzio i ministranti precedono il presidente all'altare e, fatta la riverenza, raggiungono i loro posti. Il presidente e i diaconi, fatta la riverenza all'altare, si prostrano davanti a esso. I ministranti si inginocchiano come il resto dell'assemblea. Rialzatosi, il presidente va alla sede e gli si accostano subito i ministranti con libro e microfono per l'orazione. Inizia quindi la liturgia della Parola. Per l'evangelo non si usano incenso e candele, ma, se non si preferisce farlo prima, durante l'acclamazione i ministranti sistemano leggii e microfoni per la proclamazione della Passione. Ove possibile, si affiancheranno due leggii all'ambone, dal quale si leggerà la parte del Signore. La proclamazione può essere affidata a tre diaconi, che chiedono come al solito la benedizione, o a tre sacerdoti; chi presiede tiene la parte del Signore. La lettura non è introdotta dal
saluto consueto, il libro non viene segnato con la croce e, al termine della proclamazione, non viene baciato. L'evangelo si ascolta in piedi! L'esempio del Santo Padre dovrebbe scuotere la pigrizia di certe assemblee nelle quali talvolta è lo stesso sacerdote che, inspiegabilmente, si premura di far sedere tutti. Chi per età e salute proprio non può sederà da solo come è ovvio e come fa già in altre occasioni; chi può è bene che resti in piedi.
Dopo una breve omelia, si compie la grande preghiera universale, che in questo giorno ha sempre mantenuto l'antico schema tripartito: esortazione del diacono, preghiera personale, orazione presidenziale. I fedeli e i ministranti non impegnati nel servizio al libro possono restare in piedi o in ginocchio.
Per l'adorazione della croce il diacono e due ministranti si recano in sagrestia, prendono croce e candelieri e procedono secondo una delle due forme possibili: si porta la croce velata all'altare accompagnata dai ceri. Chi presiede prende la croce e la scopre in tre momenti (prima il braccio sinistro, poi quello destro, da ultimo lo svelamento completo) scandendo i tre momenti con il triplice canto dell'Ecce lignum crucis, seguito dalla risposta dell'assemblea e da un istante di adorazione silenziosa in ginocchio. Oppure il diacono si reca alla porta della chiesa, prende la croce non velata, si avvia processionalmente verso l'altare facendo tre soste (alla porta, al centro della chiesa e sulla soglia del presbiterio), alle quali canta
l'invito Ecce lignum. Quindi si compie l'adorazione. Il diacono può deporre la croce in presbiterio sulla sua base, oppure - meglio - può tenerla egli stesso affiancato dai due ceroferari e tutta l'assemblea, iniziando da chi la presiede, si reca ad adorare la croce. Il Cerimoniale prevede anche la possibilità che il presidente tolga la casula e le scarpe e si presenti quindi a capo scoperto (il vescovo toglie lo zucchetto) e scalzo dinanzi alla croce. Dopo i sacerdoti presenti e i
ministranti, adorano anche tutti i fedeli presenti. Solo in caso di straordinario concorso di persone si può limitare il gesto a una rappresentanza di sacerdoti e fedeli; quindi il presidente prende la croce, invita con una breve monizione all'adorazione e quindi la mostra per alcuni istanti elevandola alquanto. In nessun caso si usano più croci allo scopo di tagliare i tempi. Abitualmente, l'adorazione è espressa dalla genuflessione e dal bacio. Soprattutto nelle chiese grandi e con notevole
affluenza di fedeli, è opportuno che alcuni ministranti guidino i fedeli perché si formi un'unica processione senza "ingorghi" alla soglia del presbiterio; un altro ministrante, con un purificatoio, astergerà di tanto in tanto la croce. Da notare che, per la forza espressiva dell'immagine, da secoli è ormai entrato in uso il crocifisso, ma i testi liturgici parlano sempre e soltanto di croce. È
la croce gloriosa, cantata con espressioni stupende dall'innodia del giorno.
Dopo l'adorazione, la croce viene deposta in presbiterio sulla sua base, circondata dai candelieri. Due ministranti stendono sull'altare la tovaglia, dispiegano il corporale, dispongono sull'altare o presso di essi i candelieri accesi come per la messa (se non si impiegheranno per questo i candelieri che accompagnano il Santissimo Sacramento), depongono il messale aperto (a p. 158), preparano il microfono. Il diacono, accompagnato da due ministranti, si reca all'altare della
reposizione. Lì i ministranti lo aiutano a indossare il velo omerale, quindi prendono i candelieri accesi che erano stati predisposti nei pressi e precedono il diacono che porta il Santissimo Sacramento all'altare, passando per la via più breve. Conviene ovviamente che nel tabernacolo vi sia una sola pisside, di dimensioni adeguate: è goffo portare quattro pissidi stringendole al petto e ricoprendole in qualche modo con il velo. Sulla credenza invece saranno pronte alcune pissidi vuote per
permettere a più ministri di distribuire la comunione secondo il bisogno.
Il presidente, che ha atteso fino a quel momento alla sede, si alza per accogliere il Santissimo Sacramento, si reca all'altare, genuflette e guida i riti di comunione. Dopo la comunione il diacono, sempre accompagnato dai candelieri, ripone la pisside in un tabernacolo che opportunamente sarà fuori dell'aula liturgica.
La celebrazione si scioglie in silenzio dopo l'orazione conclusiva e la preghiera di benedizione. Si genuflette dinanzi alla croce. Dopo la conclusione, i ministranti tolgono la tovaglia dall'altare e tutta la suppellettile.